I consigli della Jam Letteraria livornese, seconda puntata

Siamo arrivati alla seconda puntata dei consigli del gruppo della Jam Letteraria livornese in collaborazione con CliccaLivorno.it!


Mettiamola così: sotto Natale tutti fanno almeno un salto in libreria, cercando l’ultimo regalo a quell’amico-più-che-altro-conoscente a cui non avete idea di cosa fare. Prima di afferrare il primo best-seller e portarlo alla cassa con la soddisfazione di aver finito i regali ma il senso di colpa di non aver fatto la scelta giusta, date un’occhiata ai nostri consigli di questa settimana.

Thomas Pynchon – L’Incanto del Lotto 49

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California, anni ’60. Oedipa Maas, una giovane casalinga, viene inaspettatamente investita del ruolo di esecutrice testamentaria per i beni lasciati in eredità da un suo vecchio fidanzato, l’oscuro magnate immobiliare Pierce Inveriarity, appena deceduto. Affiancata da Metzger, un attraente avvocato che vanta un passato nel mondo del cinema, la ragazza inizia a svolgere le normali pratiche testamentarie. Quando però incappa nel lotto 49, ovvero una collezione di francobolli contraffatti “autentici”, tutto inizia a precipitare velocemente. Senza neanche rendersene conto, Oedipa viene catapultata in un caleidoscopio lisergico di complotti nebulosi e folli tentazioni, un mondo popolato da personaggi improbabili e inquietanti suggestioni che metteranno a dura prova la sua fibra morale. Scopre così che tutto intorno a lei vortica e si muove nel nome di Trystero, un antico anarchico medievale padre di una rete postale alternativa a quella federale, con l’intento – portato avanti dai suoi adepti moderni – di sovvertire i governi autoritari del mondo. Ma questa rete che opera sotto l’effige di W.A.S.T.E. (We Await Silent Trystero Empire), esiste veramente? Il tragico dramma dei compari di Trystero è solamente una mera invenzione? E perché Pierce Inveriarity ha scelto proprio lei? Chi è il misterioso beneficiario del Lotto 49?
Tra Paranoia e Suggestione, Pynchon ci spinge oltre la versione canonica dei fatti, stordendoci con la sua narrazione costantemente in bilico tra il poliziesco e il surreale, tra l’ironia e il dramma, tra verità e credenza. Questo breve romanzo diventa così un’efficace parabola di come l’America del dopoguerra abbia scelto di credere a una singola versione della realtà percepita, e di come il passato venga rielaborato nelle coscienze collettive a uso e consumo della tranquillità borghese americana.
Romanzo manifesto del postmoderno, L’Incanto del Lotto 49 simboleggia la ricerca di una verità che per sua stessa natura non può essere univoca e inviolabile, così come per la Storia universale o persino il racconto che le società fanno di sé stesse. Un’opera ironica e tragica al tempo stesso, bagnata dalla onnipresente paranoia nebulosa nella quale, probabilmente, alberga la figura misteriosa di Thomas Pynchon: uno dei più grandi scrittori del nostro tempo.

Consiglio questo libro a: chiunque abbia voglia di scoprire uno stile di scrittura diverso dal solito, e a tutti quelli che nutrono una cospicua curiosità nello scoprire sempre nuove forme letterarie.

La citazione: “Toccò il margine del suo campo voluttuoso, consapevole che il mero assoggettarvisi sarebbe stato ancor più bello dei sogni; che né la forza di gravità né le leggi balistiche, né la rapacità ferina promettevano maggiori gioie.”

di Lorenzo Bianchi

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Niccolò Ammaniti – Fango

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La mia proposta di oggi è Fango di Niccolò Ammaniti, uno tra gli scrittori italiani definiti “cannibali” a causa dello stile e dei contenuti spesso crudi e scorretti (politicamente parlando).
Prolifico autore classe 1966, Ammaniti pubblica Fango per la Mondadori nel 1996; il suo stile, inizialmente screditato dalla critica, finirà per rendere i suoi racconti i capostipiti di una nuova corrente realista che prenderà piede grazie e durante l’esplosione della cultura pop negli anni ’90. Verrà addirittura definita pulp, complice un ben noto film di Tarantino uscito proprio all’epoca.
Fango è una raccolta di racconti di cui vorrei parlarvi dal punto di vista del lettore ingenuo, sbalzato tra le storie di Ammaniti in una continua sfida con la propria sopportazione per un contenuto così brutale. Il libro si apre con “L’ultimo capodanno dell’umanità”, dal quale verrà poi tratto un film; la durezza del realismo di Ammaniti colpisce subito in pieno il nostro lettore attraverso l’intreccio che procede a ritmo serrato. I suoi personaggi sono sempre al limite del grottesco, contraddistinti tuttavia da una superba credibilità: per quanto siano persone assolutamente normali, i loro difetti e caratteristiche comuni sono portate dell’eccesso, per stordire e confondere il lettore. Alla fine del primo racconto il nostro provato lettore si rende conto di aver divorato una storia dotata di un incredibile senso del ritmo, in un allucinante crescendo di situazioni realistiche e surreali al contempo.
Ormai trascinato dalla cruda e sferzante narrazione, continua dunque attraverso “Rispetto”, i cui protagonisti sono un gruppo di ragazzi violenti ed efferati: la loro storia è capace di torcere anche i più forti stomaci. Ammaniti sembra poi voler far riprendere il fiato con “Ti sogno, con terrore”, la storia di una ragazza trasferitasi a Londra dall’Italia, sola coi suoi pensieri e le sue inquietudini. La narrazione pare addolcirsi, finché il lettore non rimane còlto violentemente di sorpresa dal finale. Ma se ancora non ne ha abbastanza, “Lo zoologo” lo trasporterà in una dimensione degradata e impossibile, dove la crudeltà del mondo si mescola all’occulto causando bizzarri risvolti che lasceranno il lettore basito. A questo punto, Ammaniti lo scaraventa nella realtà sporca di “Fango: vivere e morire al Prenestino”, dove si narrano le vicende di un criminale la cui vita si trova a rischio a seguito di un tragico incidente. Colpito duramente dal finale, il lettore può dunque procedere ed immergersi negli ultimi due brevi racconti: “Carta e Ferro”. Sfiancato e sorpreso da quanto letto finora, discende in una dimensione assurda dove è difficile distinguere il reale dall’irreale; Ammaniti lo saluta dunque così, chiudendo questa incredibile raccolta lasciando il lettore senza fiato.

Consiglio questo libro a: chiunque voglia sfuggire al politically correct e sfidare una lettura rara e sconvolgente.

La citazione: “Stiamo tornando a casa. La caccia è finita. In un modo o nell’altro è finita.”

di Gabriel Pini

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William Golding – Il Signore delle Mosche

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Oggi voglio presentarvi un libro che ho avuto il piacere di leggere di recente. Si tratta de Il signore delle mosche di William Golding, pubblicato nel 1954 e vincitore del premio Nobel alla letteratura nel 1983. Dalle prime pagine, il lettore potrebbe aspettarsi una storia sulla falsariga di Robinson Crusoe, ma al posto del celebre personaggio di Defoe troviamo un ragazzino sopravvissuto per miracolo ad un incidente aereo, alle prese con la lotta per la sopravvivenza su un isola deserta. In realtà, l’opera di William Golding è molto più di un semplice racconto di avventura: si tratta del manifesto del pessimismo nei confronti dell’uomo e della fiducia riposta nelle società basate sulla razionalità e la democrazia; un’invettiva contro il sogno utopico dell’uomo di poter mettere a freno con delle leggi, da lui stesso create, la sua natura bestiale, artefice di odio e violenza.
Il romanzo nasce da una serie di esperimenti che l’autore inglese fece con una sua classe delle elementari, quando ancora insegnava. In breve, William Golding voleva vedere se dei bambini fossero in grado di autogestirsi, magari seguendo l’impronta del mondo adulto. Il risultato fu un disastro: la classe degenerò nel caos, proprio come lo scrittore si aspettava, trovando la conferma della sua visione sull’indole umana.
Il protagonista della vicenda è Ralph, che si ritrova sull’isola assieme ad altri bambini sopravvissuti ad un incidente aereo. Viene eletto capo a seguito di una votazione e sarà suo compito guidare i giovani, prendendo come esempio il modello sociale inglese, frutto di razionalità e democrazia. Nonostante la ragione rimanga a galla grazie a Piggy, deriso per il suo aspetto e la sua parlantina, questa non riesce a stento a prevaricare sulla natura selvaggia di Jack e il suo gruppo di cacciatori, che si lasciano trascinare dal richiamo tribale e selvaggio del caos, abbattendo il pragmatismo e combattendo le paure con la violenza.
Ho trovato Il Signore delle Mosche una lettura molto piacevole e scorrevole. Il tema trattato è sempre attuale e offre un grande spunto di riflessione, come ogni classico della letteratura. Gli eventi narrati vengono descritti in maniera chiara e semplice ed è altrettanto facile capire quale messaggio voglia farci arrivare l’autore.

Lo consiglio a chi: ama scovare, sotto il velo della trama, un messaggio filosofico sul quale poter riflettere.

La citazione: “L’uomo produce il male come le api producono il miele”

di Diego Melita


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Arrivederci alla prossima puntata!

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