Via Giosuè Carducci

Continua in via Giosuè Carducci il nostro itinerario storico-poetico-toponomastico-letterario attraverso e lungo Vie, Viali, Piazze e Piazzette di Livorno.

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Via Giosuè Carducci, detta in origine strada o via dei Condotti, seguiva il percorso delle condutture sotterranee dell’acquedotto costruito nel 1606 e proveniente dalla località di Limone. Fino a circa il 1826, la strada dei Condotti percorreva le attuali via Sant’Andrea, viale Carducci, via dell’Olmo, via Tripoli e l’attuale via dei Condotti vecchi (dietro la ferrovia). Fu realizzata nel 1826 con la costruzione dell’acquedotto di Colognole e prese nome di strada dei Condotti nuovi fino all’attuale piazza Dante (compresa anche via De Larderel) e Viale degli Acquedotti fino alla via delle Sorgenti. La strada venne divisa dalle Nuove Mura nel 1835 all’altezza degli attuali viali Nievo e Alfieri, dove fu aperta la Porta Vittorio Emanuele (demolita nel 1912).

Nel 1902 il tratto dalla piazza del Cisternone alla barriera Vittorio Emanuele fu chiamato viale Emilio Zola fino al 1927, quando ebbe il nome attuale, mentre il tratto fra la barriera Vittorio Emanuele e piazza Dante si chiamò per breve tempo via Gaetano Poggiali.

Giosuè Carducci nacque nel 1835 in Versilia, da una famiglia borghese. Trascorse l’infanzia a contatto con la natura aspra e selvaggia. Si laureò in lettere nel 1856, dopodiché condusse la vita da professore e studioso. Partecipò intensamente alla vita culturale del tempo. Nel 1906 ottenne il premio nobel per la poesia. Morì l’anno successivo.

Accomiatandoci da questo poeta e dalla via che ancor oggi porta il suo nome, insieme alla Scuola Elementare di Ardenza, in piazza Sforzini, con prolungamento di sede in via di Montenero e, in attesa di ritrovarci in via Gabriello Chiabrera, riattraversiamo insieme all’ultimo vate nazionale, la sua sempre amata Maremma Toscana, ancor oggi uno degli angoli più ricchi e suggestivi della nostra Regione:

Dolce paese, onde portai conforme
l’abito fiero e lo sdegnoso canto
e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,
pur ti riveggo, e il cor mi balza in tanto.

Ben riconosco in te le usate forme
con gli occhi incerti tra ‘l sorriso e il pianto,
e in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
e sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
e dimani cadrò. Ma di lontano
pace dicono al cuor le tue colline
con le nebbie sfumanti e il verde piano
ridente ne le pioggie mattutine.

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