V. Alfieri

Cominciamo da oggi un itinerario storico-poetico-toponomastico-letterario attraverso e lungo le Vie, i Viali, le Piazze, le Piazzette della nostra città.

Viale Alfieri CliccaLicorno

Viale Vittorio Alfieri, a Livorno, altezza ospedale.

Sì, sì, avete letto giusto! Un vero e proprio viaggio storico-poetico-toponomastico letterario.

Ma non lasciatevi spaventare dalla parola: si tratta di ripercorrere almeno idealmente, se non materialmente, quelle vie e strade  che portano il nome di poeti e scrittori, italiani e stranieri, livornesi, nostri concittadini, sia passati che contemporanei, che in qualche modo, per qualche motivo, siano attinenti alla nostra ricerca, abbiano meritato l’intitolazione di una via o di una piazza che spesso ci troviamo a percorrere. Ci sembra uno dei tanti modi per conoscere meglio e più intimamente, direi forse quasi fisicamente, la nostra città.

In questo senso, il vostro contributo, i vostri suggerimenti e consigli, le vostre integrazioni  ci saranno, senza dubbio indispensabili.

Cominciamo subito oggi dal

Viale Vittorio Alfieri

che, in origine, fece parte della strada règia Suburbana e poi di via di Circonvallazione. Il 21 febbraio 1927 ricevette il nome che ancora oggi porta.

Ma chi fu Vittorio Alfieri, a cui è intitolata quindi questo Viale?

Vittorio Alfieri nacque ad Asti il 16 gennaio 1749, da una famiglia della ricca nobiltà terriera.
A nove anni fu mandato a compiere gli studi presso la Reale Accademia di Torino.
Compì numerosi viaggi per l’Italia e l’Europa, che si protassero per ben cinque anni
Quasi nulla di ciò che vide gli piacque, per lo più provò insofferenza, sdegno, repulsione.
Questi anni furono decisivi anche per la sua formazione culturale.
Nel 1768, spinto da un amico, lesse, per la prima volta «l’immortal Niccolò Machiavelli».
La sua più grande avventura fu però la lettura del Plutarco.
La sua attenzione si fermò in particolare su Dante,Petrarca,Boccaccio,Ariosto,Tasso.
Egli si sentiva schiavo della passione amorosa ed incapace di riscattare la propria libertà morale.
Con volontà caparbia si immerse nella lettura dei classici latini e italiani, si applicò allo studio della lingua italiana per impadronirsi di un linguaggio adatto alle tragedie che intendeva scrivere, e giurò di non proferire più una sola parola di francese.
A Firenze conobbe Louise Stolberg, contessa di Albany, e trovò in lei il «degno amore» che, assieme alla poesia, potreva dare equilibrio alla sua vita.
Nel 1792 assieme alla contessa d’Albany si allontanò da Parigi e si recò a Firenze, dove visse i suoi ultimi anni in una sdegnosa solitudine.

Morì a Firenze l’8 ottobre 1803. È sepolto nella  Basilica di Santa Croce.

Ma sentiamo cosa ci dice di se stesso, proprio Vittorio Alfieri,  mentre si guarda allo specchio:

Sublime specchio di veraci detti,

mostrami in corpo e in anima qual sono:

capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;

lunga statura, e capo a terra prono;

sottil persona in su due stinchi schietti;

bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;

giusto naso, bel labro, e denti eletti;

pallido in volto, più che un re sul trono:

or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;

irato sempre, e non maligno mai;

la mente e il cor meco in perpetua lite:

per lo più mesto, e talor lieto assai,

or stimandomi Achille, ed or Tersite:

uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.

Lasciamo quindi Viale Alfieri e diamoci appuntamento, per la prossima volta, sul Viale Giovanni Boccaccio…

Si ringrazia Carlo Chionne, per l’impegno a produrre questa nuova rubrica in collaborazione con la nostra redazione.

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