Scali Livornesi

Voltolino Fontani (1920-1976) ha dedicato svariate opere a Livorno, privilegiando scorci della “Venezia” e del porto, anche se non esclusivamente.

SECONDO QUADRO
Scali Livornesi, 1951, olio su tavola cm 70×90.

Scali livornesi CliccaLIvorno

 

Uno scalandrone lungo il fosso mediceo nel quartiere “Venezia”, uno dei soggetti più livornesi  e caratteristici in assoluto, è stato reso da Fontani in modo assai originale, dalla tavolozza  alla costruzione della composizione nel suo insieme. Quest’opera, mai più ripetuta,  appartiene alla sperimentazione “eaista” , cioè relativa all’ Eaismo (Era Atomica ismo), che  fu un movimento di poesia e pittura che Fontani ideò e fondò con  Marcello Landi, Guido Favati, Angiolo Sirio Pellegrini e Aldo Neri nel 1948 e che precorse cronologicamente  il Movimento Nucleare milanese. Gli eaisti vollero denunciare il pericolo dell’energia atomica usata per il suo potenziale distruttivo auspicando sinteticità ed intuibilità dal punto di vista stilistico e aderenza al momento storico dal punto di vista del contenuto; quindi niente più arte per pochi eletti ma arte calata nel reale,  facendo “parlare” poche linee-guida. In effetti  in quest’opera non c’è niente di ridondante e neppure di realistico in senso stretto: il fosso si intuisce non dal colore suo proprio, quanto dal riflesso di un palazzo il quale, mancando addirittura muri e tetto, lascia intravedere il cielo; anche le altre costruzioni sono ridotte a pure forme geometriche e costeggiano una spalletta che, col suo riflesso nell’acqua, lascia capire dove il fosso arrivi; la barca nera tirata in secco è l’elemento che attira lo sguardo, per il colore e la posizione centrale, ed è l’unico elemento leggibile in senso stretto.

É il colore l’elemento più originale del quadro, completamente svincolato dal suo rapporto con reale, e ciò può forse spiegare il vero significato di  questo quadro eaista: il fosso azzurro e violaceo, la spalletta rosa, il cielo attraversato in diagonale da una funerea striscia nera, la costruzione trasparente, quasi l’ombra di se stessa, e le altre le case bianche e deserte possono farci pensare ad un inquietante “day after” e alle radiazioni atomiche? Forse era questo l’intento dell’autore, ma niente ci vieta di gustare quest’opera per la sua freschezza e per la piacevolezza dell’insieme, che il delicato rosa dominante ci suggerisce. In fondo è questo il bello di un’opera d’arte: poterla interpretare liberamente.

 

Si ringrazia Adila Fontani figlia di Voltolino Fontani per la preziosa collaborazione nel fornirci foto e presentazione.

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